L’alfa e l’omega del ducato farnesiano furono Margherita d’Austria ed Elisabetta Farnese, senza nulla togliere alla moglie di Pierluigi Farnese, che però non ebbe il tempo di lasciare un segno tangibile del proprio passaggio.
Margherita d’Austria, nata il 28 dicembre 1522 a Oudenale sulla Schelda, da Carlo V e Johanna van der Gheyhst. Carlo V non potrà sposare la madre di Margherita, damigella di corte del governatore della città, ma farà in modo di riconoscerle i diritti di figlia legittima e di affidarla ad una famiglia che la educhi in modo conveniente.
Come spesso accade per i figli naturali Margherita diverrà strumento politico per stringere alleanze attraverso il matrimonio. All’età di cinque anni si pensa di sposarla ad Alfonso d’Este, a sette ad Alessandro de’Medici che Carlo V aveva nominato duca di Firenze. In attesa che raggiunga l’età per sposarsi Margherita viene trasferita presso la corte di Napoli nella sede di Sulmona.
Proprio nel 1533 nel corso del viaggio verso l’Italia Margherita viene riconosciuta dal padre che ne fa una vera Asburgo, da quel momento viene chiamata Madama. Presso la residenza di Sulmona riceve spesso visite e doni da parte del promesso sposo Alessandro de’Medici.
Nel 1534 muore Papa Clemente VII e viene eletto Paolo III al secolo Alessandro Farnese, ostile ai Medici; perciò si verifica un momento di incertezza, che viene superato dal momento in cui il Papa benedice l’unione tra Margherita e Alessandro. Il matrimonio avviene nel 1536 nella chiesa di San Lorenzo a Firenze. Da quel momento agli sposi resta poco tempo per stare insieme a causa dei frequenti viaggi del duca. Tra il 5 e il 6 gennaio 1537 Alessandro viene assassinato dal cugino. Margherita, che pare “non facesse altro che piangere”, viene ospitata presso la fortezza da Basso e poi trasferita a Prato per motivi di sicurezza.
Nel frattempo Cosimo de Medici, presunto successore di Alessandro, cerca di superare la crisi politica e si pone come risolutore della situazione fiorentina, nella speranza di poter chiedere la mano di Margherita.
Per una questione diplomatica, però, Carlo V preferisce usare la figlia per ottenere l’appoggio del Papa con il fine ultimo di poter intraprendere una lotta contro i Turchi, così decide di ignorare Cosimo e promette Margherita al nipote di Paolo III, Ottavio Farnese; al contempo ottiene che Margherita erediti quanto le spettava dopo la morte di Alessandro de’Medici: ducati abruzzesi, possedimenti medicei a Roma, e gioielli.
Per Margherita la prospettiva non è per niente allettante: passare da una corte importante come quella fiorentina a quella decisamente meno nota dei Farnese, una famiglia di origine laziale che solo grazie alla’ascesa sul soglio papale di Alessandro aveva ottenuto un territorio sul quale governare.
Margherita si oppone con tutte le forze al matrimonio, celebrato nel contesto elitario della cappella Sistina: nei carteggi che intrattiene con il padre si trovano lettere dove denuncia la non validità del matrimonio per “vizio di forma”, diremmo oggi. Il padre per calmare l’animo della figlia le accorda la premura di controllare le procedure matrimoniale per poi respingere la richiesta di annullamento.
Margherita si presenta a Roma, giungendo su una lettiga papale vestita in abiti vedovili; per poi dare inizio ad una serie di lamentele nei confronti del marito Ottavio: giovane, senza arte né parte, inadatto alla vita matrimoniale, ignorante, poco pulito e piscialetto.
Per un lungo periodo Margherita rifiuta di consumare il matrimonio, accusando frequenti mal di testa, evitando di aprire la porta al marito, la situazione dura così a lungo che Ottavio diventa lo zimbello delle corti europee.
Soltanto dopo alcuni anni di capricci Margherita cambia atteggiamento e dall’unione con Ottavio nascono due gemelli: Alessandro e Carlo, venuti alla luce a Roma presso il palazzo che ancor oggi è noto con il nome di Madama, odierna sede del Senato della Repubblica. Il battesimo si celebra nella chiesa di Sant’Eustachio.
Dalla nascita dei figli l’atteggiamento di Margherita diviene più responsabile e anche se i rapporti con Ottavio rimangono piuttosto freddi, appoggia e sostiene il marito e la famiglia in momenti difficili, come negli anni Cinquanta del XVI secolo, quando deicide di lottare per la restituzione ai Farnese del Ducato di Parma e Piacenza, occupato dagli Spagnoli dopo l’uccisione di Pierluigi. Nel 1550 fa ingresso a Parma anticipata da Ottavio e nel 1557 a Piacenza.
L’autunno stesso parte con il figlio Alessandro per le Fiandre (il gemello Carlo era morto in età puerile), avendo ottenuto dal fratellastro Filippo II di Spagna il governo su quelle che erano le sue terre d’origine. Mostra una tale abilità nella gestione della difficile situazione politico, religiosa e amministrativa che il Papa decide di attribuirle la Rosa d’Oro come riconoscimento. La riceve nella chiesa del monastero di San Sisto.
Nei periodi di permanenza in Italia Margherita predilige Piacenza a Parma ed infine gli Abruzzi dove trova la morte nel 1586.
Il Palazzo Farnese a Piacenza
Il Palazzo di Piacenza nella fase di progettazione è seguito dalla duchessa: in un primo momento il progetto è affidato a Francesco Paciotto, architetto ducale autore del corridore presso i palazzi di Parma. In realtà il progetto accettato e messo in opera seppur parzialmente fu quello di Jacopo Barozzi detto il Vignola.
Costui era l’architetto di fiducia del cardinale Alessandro Farnese, attivo anche in ambito romano.
Punto fermo del progetto è la collocazione del palazzo che doveva essere posto sull’area dove sorgeva la Cittadella viscontea che aveva visto l’uccisione e defenestrazione di Pierluigi Farnese.
Il progetto prevedeva un edificio quadrilatero,che all’esterno doveva apparire come un vero castello, dove due ali opposte erano destinate ad ospitare gli appartamenti del duca e della duchessa e uno dei bracci di raccordo doveva essere destinato al figlio superstite della coppia Alessandro; Carlo era morto ancora fanciullo.
I prospetti, dei quali è possibile vedere realizzati solo i lati sud ed est, mostrano caratteri di uniformità nella distribuzione delle finestre, aperte ad intervalli costanti e tutte poggianti su marcapiano che ricordano le scelte di Raffaello a Palazzo Madama. A rimarcare la struttura architettonica Vignola sceglie il bugnato d’angolo in pietra chiara, a contrasto con il colore del cotto, ripetendo uno stilema in uso presso altri architetti contemporanei come Antonio da Sangallo, Giulio Romano e lo stesso Raffaello Sanzio. Al medio evo e all’architettura nordica fanno riferimento la presenza di una torre d’accesso, non realizzata, che doveva essere corredata da una torre campanaria e da un angelo segna vento, simbolo di dignità del potere.
Lo sviluppo in alzato prevedeva un seminterrato dedicato a alla servitù e ai servizi, e ai piani superiori le residenze estive ed invernali dotati di diverse sale che passavano dalle grandi dimensioni funzionali ad accogliere un vasto stuolo di ospiti a quelle più ridotte dedicate ai momenti più intimi della vita familiare.
L’accesso ai piani alti avveniva dal lato della duchessa attraverso rampe di scale dotate di diversi pianerottoli, per rendere più agevole la salita; dal lato del duca le rampe dovevano essere solo due.
All’esterno era previsto il fossato, che doveva servire anche a tenere lontana la plebe dal palazzo; nel 1562 però, per volontà del duca questo elemento viene eliminato. I seminterrati vengono illuminati con bocche di lupo, per integrare il prospetto con la piazza viene abbassato il livello della piazza anche se il progetto originario ne risulta alterato.
Il cortile doveva avere un carattere monumentale perché lo spettatore ne risultasse sopraffatto per la presenza di grandi arcate caratterizzate da uno stile ionico, raffinato, dove i volumi e i chiaroscuri ritmassero l’ambiente. Per completare la corte Vignola aveva previsto la presenza di un teatro in stile antico, un probabile omaggio a Margherita, poiché a Palazzo Madama a Roma era presente una simile struttura all’antica. Il teatro a spalti aveva una particolarità, doveva avere un accesso diretto dalle stanze ducali; nei disegni si nota la porta all’interno della quale l’architetto aveva disegnato l’imponente figura di Margherita affiancata da una più minuta damigella. Questa porta doveva collegare direttamente le stanze al teatro, del quale non rimane che la forma arcuata.
Questi ambienti dovevano essere visti da un giardino del quale non resta traccia.
Monumento funebre in San Sisto
Dopo aver lasciato le Fiandre nelle mani del figlio Margherita decide di trasferirsi nei ducati Abruzzesi, dove farà realizzare palazzi destinati ad ospitare la propria corte, ma sceglierà di essere sepolta nella chiesa di San Sisto a Piacenza, dove oggi è possibile ammirare il monumento funebre dedicatole.
Il 18 gennaio 1586 Margherita si spegne ad Ortona, il corpo viene subito traslato a Piacenza, ma a L’Aquila si celebrano i suoi primi funerali. VIene realizzato un catafalco celebrativo di tutte le doti di Madama: in particolare prudenza e sapienza.
A Piacenza il corpo giunge accompagnato da Pietro Alobrandini. Il 29 Maggio 1586 è portato in corteo fino al monastero dove accade un fatto tanto“Scandaloso” da passare alla storia. I Canonici, che avevano ricevuto il corpo di Margherita a Porta San Lazzaro, volevano condurlo “entro” la chiesa di San Sisto, mentre i Monaci lo volevano fermare al limitare del monastero, per portare essi stessi la salma in chiesa. Dalle parole si passa ai fatti, e “li pretti del Domo e li frati di San Sisto, fra li quali vi era sei Abbati vestiti in pontificale, nel contendere di fare le cerimonie… si dettero delle torze e bastoni sul capo: et il popolo messe mano alle armi…” (Poggiali 1761 p 243).
All’arrivo della salma presso San Sisto nulla era ancora pronto per ospitare le spoglie di Margherita, ma Madama aveva lasciato dettami precisi “che il suo corpo sia seppellito nella Ecclesia di San Sisto nella città di Piacenza dove, per tale effetto vole et comanda che si faccia una sepoltura di Bronzo rilevata da terra con bella factura et proporzione et con la sua statua integra, nella quale non si habbia da spendere meno di cinque mila scudi d’oro in oro” (A. Pettorelli, Giulio Mazzoni a Piacenza, pittore e scultore, Milano 1922).
L’opera ebbe un percorso piuttosto travagliato. Fu inizialmente commissionata a Simone Moschino da Orvieto, dal nipote di Margherita, Ranuccio, reggente del ducato per conto di Alessandro. Il lavoro fu eseguito dai collaboratori del Moschino: Molinari (aiuto dal punto di vista architettonico),Caliari, Bergamino e Torbati (autori della Fedeltà e Mitezza) e fu realizzato soltanto in parte tra il 1587 e il 1621, infatti Ranuccio chiederà di concludere l’opera a Francesco Mochi, autore dei monumenti equestri, poiché non era a quella data ancora terminato. Non si ha notizia di un intervento da parte del Mochi, se non per la presenza di alcuni putti in bronzo poi finiti a sostenere la mensa, che potrebbero apparire stilisticamente vicini all’autore. In ogni caso, quel che possiamo vedere ancora oggi mostra che le indicazioni di Margherita non vennero seguite, poiché non c’è traccia dell’elemento che doveva essere di spicco nel monumento, ovvero la statua intera. Unica traccia di un ritratto di Margherita resta il busto commissionato dai monaci a Giacinto Fiorentini (1616) e fatto esporre su un pilastro come elemento di compensazione al ritratto della fondatrice Angilberga, presente sul pilastro dal lato opposto della navata.
Elisabetta Farnese
Passa poco più di un secolo tra la morte di Margherita e la nascita di Elisabetta avvenuta nel 1692. Un tempo che vede la famiglia farnesiana dominare con continuità sul ducato e intessere relazioni con le famiglie notabili in tutta l’Europa, nonché ostentare attraverso la commissione di opere artistico- architettoniche il proprio status.
Elisabetta nasce da Odoardo Farnese, primogenito del duca Ranuccio II, e Dorotea Sofia di Neuburg, a sua volta figlia dell’elettore palatino Filippo Guglielmo e sorella della vedova di Carlo II di Spagna. Rare sono le notizie sulla sua infanzia e il periodo della sua formazione; il cardinale Giulio Alberoni, in una lettera scrive che aveva vissuto quel periodo sotto lo stretto controllo della madre tra “quattro muraglie”.
In realtà tra quelle mura aveva visto decidere, commissionare, far realizzare molte opere: è possibile che la stessa Elisabetta, con la madre e lo zio(Francesco, secondo marito di Sofia Neuburg rimasta vedova di Odoardo) abbia concorso nelle decisioni su questi temi.
Ranuccio II, nonno di Elisabetta. aveva ingrandito le residenze di Parma e Piacenza, aggiunto opere alla collezione di Parma facendole portare dalla biblioteca di Roma, chiamato a corte artisti di fama come Lolli, Spolverini, Giovannini; fatto costruire il teatro ducale e il teatro che oggi conosciamo come “farnese” a Parma e il teatro della Cittadella a Piacenza.
Sulla figura di Elisabetta, le sue doti intellettuali e i suoi interessi esistono versioni discordanti: Saint Simon la descrive come personalità mediocre, i cui testi di riferimento erano testi religiosi e i cui interessi non andavano oltre la danza e il ricamo, da alcuni documenti tratti dal Ragguaglio delle nozze delle Maestà di Filippo V ed Elisabetta Farnese (Parma 1717) pare invece che fanciulla amasse lo studio delle lingue latino, francese, tedesco e avesse elevate doti intellettuali.
Elisabetta e la madre furono affiancate nello studio della pittura da maestri dell’epoca Pier Antonio Avanzini e il Fiamminghetto. Delle prime prove di Elisabetta resta traccia in alcune collezioni tra le quali quella del Collegio Alberoni, dove si trova la copia di Lo sposalizio mistico di Santa Caterina.
Elisabetta che aveva appreso l’erte del dipingere era a sua volta soggetto di dipinti e attraverso i dipinti venne proposta come sposa. Morta la moglie del re spagnolo venne inviato a Filippo V tramite il Cardinale Acquaviva un ritratto della duchessa probabilmente realizzato da Lorenzo Fermont; all’arrivo di Elisabetta in Spagna Filippo giudicherà il dipinto di scarsa qualità.
Alla corte ducale non mancavano opere teatrali e musicai: i regnanti partecipavano a messe in scena e concerti in entrambe le città ducali: a Piacenza nella Cappella ducale si tenevano concerti per il carnevale.
La danza era però il massimo diletti di Elisabetta. Presso la corte erano presenti ballerini di prim’ordine. Le dame di corte a volte erano coinvolte nei balli. Sofia Neuburg intervenne nel ballo l’Italia consolata nelle vesti di Diana, lo stesso accadde ad Elisabetta e ai suoi figli; le arti e il divertimento furono una costante alla corte farnesiana e come sotto la guida di Ranuccio II anche i successori si affidarono ad artisti importanti per l’abbellimento delle regge: all’inizio del Settecento venne chiamato Francesco Galli Bibiena, scenografo, a decorre le residenze ducali. A Piacenza restano profonde tracce della presenza del Galli Bibiena nei palazzi cittadini. La sua presenza fu certamente influente per la formazione di Elisabetta. Che portò avanti la politica culturale farnesiana, arrivando ad obbligare il figlio a trasferire il beni del ducato nel regno di Napoli, quando ne conquistò il potere.
Se importanti sono gli aspetti culturali e le scelte politiche in tal senso non si può dimenticare che Elisabetta poté compiere queste azioni per il potere ottenuto grazie alla discendenza ma soprattutto grazie al matrimonio che suo malgrado la portò in Spagna.
Il matrimonio di Elisabetta con Filippo avviene al termine dei conflitti legati alla successione spagnola, quando la prima moglie di Filippo muore.
Per la stipula del contratto matrimoniale viene dato mandato al Cardinale Acquaviva, ambasciatore di Spagna a Roma, il quale firma dopo un mese di trattative il contratto matrimoniale, dopo aver discusso: dote, diritti ereditari, doni pre-nuziali, dettagli organizzativi relativi al viaggio verso la Spagna, mantenimento in caso di vedovanza, scadenza dell’accordo (entro 4 mesi dalla celebrazione Elisabetta doveva raggiungere la corte spagnola).
Le celebrazioni ufficiali avvengono nella cattedrale di Parma e si conoscono i dettagli delle vicenda pubblicati nel 1717 nel “Ragguaglio” corredato dalle incisioni dei dipinti di Ilario Spolverini. Il legato per la celebrazione del matrimonio, inviato da papa Clemente XI è il cardinale Ulisse Giuseppe Gozzadini.
Celebrato il matrimonio inizia il capitolo del viaggio di Elisabetta. La Farnese doveva raggiungere Genova e poi partire via mare per il suo nuovo regno, m a causa di un incidente occorso nel tratto di mare tra Sestri e Genova, scese di proseguire via terra.
Il corteo composto da servitù e accompagnatori percorrerà un lungo viaggio incontrando popoli, fermandosi in diversi luoghi e sarà un cammino a detta di alcuni anche di maturazione della stessa Elisbetta, che giungerà in Spagna, alla scadenza del periodo consentito, pronta ad assumere il ruolo di regina.
Raggiunta prima dell’arrivo dal Cardinale Alberoni viene informata dell’accoglienza che la attende: un palazzo non degno per una regina, e la presenza della principessa Orsini, cameriera mayor del re, che tra le altre azioni denigratorie nei confronti di Elisabetta aveva assegnato le stanze in modo che quella del re e della regina non fossero comunicanti.
La cameriera mayor aveva il compito di far rispettare l’etichetta e creare un’etichetta per la corte spagnola. La principessa Orsini però dopo la morte della prima moglie di Filippo aveva assunto un atteggiamento discutibile con il re, ad esempio gli appartamenti del sovrano erano stati collegati con quelli della Orsini.
La principessa aveva promosso le seconde nozze con la Farnese che pensava essere però più docile ed inesperta. Le due si incontrano il giorno prima dell’incontro tra Elisabetta e Filippo. Dalla stanza si sentono proferire parole ad alta voce da parte della regina che alla fine firma un ordine per l’espulsione della cameriera mayor e ordina che sia scortata oltre i Pirenei dalle guardie senza che possa essere raggiunta da alcun seguito.
Il re il giorno dopo sottoscriverà l’ordine della nuova regina cercando di mediare lievemente. L’Orsini una volta giunta in Francia cercherà di rivalersi contro la corte spagnola e per lungo tempo cercherà senza risultato di ottenere un rimborso per essere stata costretta a partire nella bufera con un clima insopportabilmente gelido.
Nel frattempo il rapporto tra Filippo ed Elisabetta si avvia ad essere florido, alcuni cronisti parlano di passioni in comune per arte, danza e caccia. Il re mostra apprezzamento immediatamente nonostante l’aspetto di Elisabetta turbato dai segni del vaiolo che l’aveva colpita nel 1710 rischiando di ucciderla.
I due avranno sette figli: Carlo, Francesco(morto dopo un mese di vita), Marianna Vittoria, Filippo, Maria Teresa, Luigi Antonio. Il primogenito acquisirà il potere inizialmente sul ducato materno di Parma e Piacenza, poi sul regno di Napoli e alla morte del padre diventerà re di Spagna come Carlo III. Filippo prenderà le redini del ducato di Parma e Piacenza, trovandolo spogliato di molti beni dal fratello maggiore; le infante sposeranno regnanti europei e Luigi Antonio intraprenderà la carriera ecclesiastica divenendo arcivescovo di Toledo.
Elisabetta sarà protagonista politica a fianco di un marito piuttosto debole soprattutto di salute. Curerà gli interessi interni e i rapporti internazionali con le altre potenze europee, d’altra parte il ducato di provenienza viene citato come modello in materia di tesoreria e monete, nella corrispondenza tra cardinale Alberoni e il conte Rocca.
Elisabetta durante il lungo percorso verso la Spagna apprende molto: innanzitutto che essendo seconda moglie parte svantaggiata e al fine di superare questa situazione di inferiorità si impegna per apprendere la lingua del nuovo regno, leggere le biografie dei personaggi che hanno fatto la storia della penisola iberica: dedicherà una particolare attenzione al personaggio di Isabella la Cattolica.
Nonostante nel contratto matrimoniale avesse rinunciato all’eredità dei ducati fa in modo di costruire un’immagine importante di sé e della propria famiglia commissionando la redazione di una biografia dei Farnese, nella quale le sue doti fossero messe in rilievo.
Compie inizialmente l’errore di coinvolgere negli affari politici i propri uomini di fiducia, con il risultato di perderli, nel caso del cardinale Alberoni che sarà congedato nel 1719. Al cardinale piacentino succederà Patiño che agirà con maggior scaltrezza, permettendo alla regina di rimanere a fianco del re e in seguito di sostituirlo nei poteri decisionali a causa della cattiva salute di Filippo V. Il re cercherà di abdicare in diverse occasioni, ma senza riuscire ad allontanare Elisabetta dal potere.
Anche se entrambi si dedicheranno all’educazione del primogenito per renderlo un uomo abile al comando: il re redigerà consigli morali, la regina sottolineerà aspetti e strategie politiche.
Molto interessanti sono i rapporti di corrispondenza tra Elisabetta e i figli, in particolare con Carlo. Sarà Elisabetta a consigliargli, una volta abbandonata Parma alla volta del regno di Napoli, di portare con sé le opere d’arte di famiglia, così la “Galleria di Parma” e gli arredi delle regge, incluse Piacenza e Colorno verranno trasferiti spogliando le città ducali.
Questa operazione costò molto a Piacenza e Parma che persero attrattiva per i viaggiatori europei che compivano il Gran Tour, che vedendo come venivano conservate inizialmente le opere a Napoli sostenevano che “color che passavano potevano orinare su Guido(Reni) e Correggio” (Brosses). Dopo un primo allestimento negli appartamenti che affacciavano sul golfo le opere vengono spostate a Capodimone per motivi di conservazione.
Fasti di Elisabetta a Palazzo Farnese
Il piano nobile di Palazzo Farnese era dedicato a ricevimenti di carattere diversificato: dagli eventi mondani a quelli più intimi. Le opere dedicate ad Elisabetta sono conservate nell’area più riservata del palazzo, che oggi vediamo spoglia, con alcuni brani di affresco, ma che doveva essere rivestita da splendide tappezzerie e decori.
I fasti di Elisabetta si compongono di cinque opere: due conservate nei musei civici, due presso il municipio di Parma e una alla reggia di Caserta.
Tutti i dipinti furono commissionati a Ilario Spolverini e probabilmente realizzati proprio presso Palazzo Farnese a Piacenza tra il 1717 e il 1723, poiché era l‘unico dotato di ambienti che si prestassero per la dimensione delle sale in proporzione a quella delle tele.
Il progetto dei fasti di Elisabetta era dedicato al matrimonio con Filippo V. Spolverini partecipò a tutti gli eventi connessi dotato di carta e matita per poter raccogliere disegni che servissero al compimento delle opere. Il risultato, per quanto riguarda i dipinti esposti a Piacenza è un elevatissimo numero di figure.
Ingresso del Cardinal Gozzadini a Parma, 1717
Il dipinto è strutturato in tre settori: un cielo blu intenso occupa la parte alta del’opera, quinte architettoniche aprono la prospettiva verso porta Santa Lucia e mostrano il corteo che è descritto in maniera progressivamente più dettagliata quanto più ci si approssima al primo piano.
La scena descrive l’ingresso del cardinale inviato dal Papa per la celebrazione delle nozze per procura che si terrà nel duomo di Parma. Si tratta di un’opera indubbiamente impegnativa per il numero di figure umane rappresentate che tocca il centinaio. Nuova è anche la tavolozza di Spolverini rispetto alle opere dedicate a scene di battaglia, così come la tecnica adoperata.
La struttura del dipinto vede individuare i protagonisti grazie alla presenza del baldacchino: i cardinali e il duca sono riconoscibili per la precisione dei ritratti realizzata da Spolverini. Sono presenti personaggi fisiognomicamente riconoscibili, notabili del’epoca, le figure sono così numerose che il corteo di cavallerizzi, guardie, trombettieri va perdendosi all’orizzonte nella luce che riesce a suggerire una notevole profondità nelle rapide pennellate dell’artista.
La tecnica utilizzata vede i colori infrangersi in una moltitudine di scintille e fini striature, dove l’uso dei bianchi accostato agli altri elementi crea un insieme di grande suggestione.
L’artista riesce a rendere l’idea della fiumana di persone anche grazie alla costruzione del fondale architettonico dotato di edifici diversificati per tipologia e altezza, che diventa un’anticipazione dei lavori di poco successivi di G. Paolo Panini.
Congedo di Elisabetta dalla corte, 1717-1723
Dopo la partenza avvenuta il 22 settembre alla volta della corte madrilena, Elisabetta accompagnata da un cospicuo seguito si ferma a riposare a Borgotaro, riparte per attraversare gli Appennini e raggiungere Genova dove era previsto l’imbarco, ma una parte del suo seguito la lascia per rendere più agile il viaggio. Il saluto avviene al passo delle Cento Croci.
La scena è narrata utilizzando alcuni elementi scenografici: il monte diventa come una quinta che distingue il primo piano, dalla roccia nuda emerge la tenda della regina e a cascata gli altri personaggi. Lo sguardo si allontana sul lato destro del dipinto verso la parte di corteo che riprende la strada verso Parma. Si scorgono appena i declivi le cui forme si addolciscono verso la pianura.
Una delle opere meglio riuscite, il saluto di Elisabetta riesce a restituire al contempo l’amore della corte ducale per la regina e lo sguardo malinconico di Elisabetta verso la sua terra.
Incontro di Elisabetta con i cardinali 1714-1717
Al contrario delle grandi tele precedenti questa piccola opera fu probabilmente realizzata presso la Reggia di Colorno, per esservi esposta. Si tratta di un’opera di ridotte dimensioni che lascia trasparire la propensione per la teatralità nella costruzione dell’ambiente che ospita la scena narrata in primo piano. Spolverini, con la sua pennellata rapida e piena di luce, ma anche fatta di toni bruni, caldi e morbidi dipinge l’architettura in prospettiva spezzando e forzando le forme per creare, in uno spazio ridotto, più piani e dare così maggiore risalto alla scena che vede protagonista Elisabetta. La futura regina è vestita di un abito rosso cremisi, che si stacca ed emerge a fianco degli abiti più scuri dei cardinali verso i quali si muove. Il movimento, che sottolinea l’avvenimento in corso, è accentuato dalla diagonale dell’ombrello e dell’avambraccio nudo, entrambi inclinati nella stessa direzione.
Consigli di lettura
Bruno Adorni, Il ruolo di Margherita d’Austria nella costruzione del palazzo Farnese di Piacenza, in Margherita d’Austria, 1522-1586 : costruzioni politiche e diplomazia, tra corte Farnese e monarchia spagnola, 2003, Bulzoni
Carmen Artocchini, Principesse, infante e duchesse : storie al femminile tra Farnese e Borbone, 2010, Piacenza, Tip.Le.Co.
Massimo Solari, Le regine di Piacenza, 2010, Piacenza, ed. LIR
Alberto Spigaroli, Margherita d’Austria e il Palazzo Farnese di Piacenza,1987, Parma, Ed. Donati
Gigliola Fragnito, a cura di, Elisabetta Farnese Principessa di Parma e regina di Spagna, Atti del convegno internazionale di studi , Parma 2-4 ottobre 2008, Ed. Viella, Roma, 2009AA.VV. Il Palazzo Farnese a Piacenza. La Pinacoteca e i Fasti, 13 settembre- 30 novembre 1992, a cura di Stefano Pronti, Skira editore, Milano 1997
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